L’ipertensione arteriosa essenziale rappresenta oltre il 90% dei casi di ipertensione. Non ha una causa identificabile e riconosciuta, ed è una condizione cronica che richiede un trattamento antipertensivo continuo per ridurre il rischio di complicanze cardiovascolari.
Nonostante l'assenza di una causa unica identificabile, l'ipertensione essenziale è influenzata da una predisposizione genetica e da numerosi fattori di rischio ambientali, tra cui il fumo, una dieta ricca di sodio, la sedentarietà e lo stress cronico.
Un fattore di rischio non modificabile è la senescenza; l’ipertensione aumenta di incidenza con l'età a causa delle modificazioni vascolari associate all’invecchiamento.
Con l'invecchiamento, i vasi sanguigni perdono elasticità e diventano più rigidi, aumentando le resistenze vascolari periferiche e contribuendo allo sviluppo dell'ipertensione arteriosa.
L'irrigidimento dell'aorta negli anziani compromette la sua funzione elastica, riducendo la capacità di ammortizzare il flusso sanguigno e aumentando il carico di lavoro del cuore, con conseguente ipertrofia ventricolare sinistra.
Risulta essere invece protettivo l’esercizio fisico aerobico almeno 2-3 volte alla settimana per almeno 20 minuti.
L’attività fisica ottimale è di tipo aerobico e si mantiene sotto la soglia anaerobica, ossia il livello oltre il quale l’organismo inizia a produrre lattato in eccesso.
Un metodo pratico per stimare la frequenza cardiaca ottimale per l’attività aerobica è calcolarla come il 75% della frequenza cardiaca massima teorica (220 meno l’età in anni). Ad esempio, per un soggetto di 40 anni: 75% di (220-40) = 135 bpm.
L'ipertensione arteriosa è spesso asintomatica, almeno per valori pressori non troppo elevati, ed è rilevabile solo tramite misurazione con lo sfigmomanometro.
Valori superiori a 180 mmHg di sistolica o 110 mmHg di diastolica possono associarsi a sintomi gravi, tra cui cefalea intensa, vertigini, visione offuscata e dispnea.
Il problema principale dell’ipertensione arteriosa è che livelli elevati di pressione prolungati nel tempo determinano alterazioni croniche soprattutto cardiache, vascolari e renali e possono provocare danni d’organo acuti.
Tra le modificazioni associate all’elevata pressione arteriosa si osservano adattamenti cardiovascolari di tipo ipertrofico.
Il cuore, per compensare l’aumento delle resistenze vascolari, sviluppa ipertrofia ventricolare sinistra, un adattamento inizialmente compensatorio che può evolvere in insufficienza cardiaca.
A livello vasale anche i vasi, sottoposti a una maggiore pressione, vanno incontro a ispessimento e aumento della rigidità.
A livello renale, la pressione elevata provoca danno glomerulare, con conseguente microalbuminuria, un marker precoce di danno renale ipertensivo.
Particolarmente importanti sono i danni renali: fintanto che si riscontra solo microalbuminuria, siamo ancora in una condizione reversibile, ma se il danno renale diventa più consistente si instaura un circolo vizioso: l’ipertensione causa danno renale, che a sua volta aumenta l’ipertensione, aggravando ulteriormente il danno renale.
La microalbuminuria e le alterazioni ipertrofiche cardiovascolari iniziali possono regredire con il ritorno dei valori pressori in un range di normalità.
L’ipertensione arteriosa rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare molto importante, che unitamente ad altri fattori di rischio comuni come diabete, dislipidemie (sindrome metabolica) e aterosclerosi, può determinare eventi cardiovascolari avversi anche gravi.
Poiché spesso l’ipertensione è silente, si raccomanda un controllo periodico della pressione arteriosa, facilmente eseguibile dal medico di base o anche gratuitamente in farmacia.
Si definisce ipertensione arteriosa la presenza di valori pressori persistentemente elevati sopra i 140 mmHg di sistolica e/o 90 mmHg di diastolica in misurazioni ripetute.
Va tenuto presente, tuttavia, che la pressione arteriosa può variare significativamente nello stesso individuo ed innalzarsi temporaneamente senza che si tratti di un’ipertensione patologica.
Ad esempio, l’ingestione di liquirizia, caffè o fumo di sigaretta può temporaneamente aumentare i valori pressori. La pressione arteriosa è influenzata anche da fattori emotivi e psicologici, come lo stress.
Un esempio particolare è la sindrome da camice bianco, una condizione in cui il paziente manifesta un aumento della pressione arteriosa durante la visita medica, mentre a casa i valori sono normali.
Per distinguere tra ipertensione arteriosa e un aumento pressorio occasionale, è consigliabile effettuare un monitoraggio pressorio delle 24 ore per valutare la persistenza dell’ipertensione durante l’arco della giornata.
La definizione corretta di ipertensione è dunque:
Valori pressori persistentemente elevati sopra i 140 mmHg di sistolica e/o sopra i 90 mmHg di diastolica
Sulla base dell’entità dei valori pressori si distinguono differenti gradi di ipertensione, connessi a un maggior rischio cardiovascolare.
Ovviamente, più è alta la pressione, maggiore è il rischio di complicanze a lungo termine.
Valori pressori molto elevati sono pericolosi anche nell'immediato, con il rischio di danni d'organo acuti.
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